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Meet the vegan runner club

Meet the vegan runner club

Ho chiesto ad alcuni amici appassionati di trail running una breve testimonianza sulla loro esperienza legata allo sport combinata ad una dieta “plant based”. L'argomento è ampio e aperto, e sicuramente non si risolve con la formula niente carne = prestazioni migliori, resta il fatto che queste persone abitualmente corrono distanze superiori ai 100 Km in montagna con tempi decisamente invidiabili. Dopo di che si aprono una serie di aspetti e motivazioni diverse, forse più importanti del tempo impiegato in una gara. Buona lettura.

Eva Toschi

Non sono una scienziata, né una nutrizionista, né tantomeno un’atleta professionista. Però da un po’ di tempo non mangio più carne e corro. 

Io personalmente, prima di approfondire le questioni etiche che sono dietro questa decisione, ho smesso di mangiare carne quando ho cominciato a vivere con un animale. Un cane. Mi è sembrato stonasse che mi curavo di un animale e ne mangiavo degli altri. Non c’è tanta differenza tra un cane e un maiale, tranne forse che quest’ultimo è più intelligente.Detto questo credo che gli appassionati di outdoor, come i trail runner ad esempio, dovrebbero interrogarsi sulle scelte alimentari che compiono, per diversi motivi. Me ne vengono in mente un paio.Il primo, visto appunto che non sono una scienziata, parte dal cuore. Se si trae piacere dall’attività in natura credo che ad un certo punto si senta il bisogno di tutelarla. E smettere di mangiar carne non tutela solo la fauna, ma tutto l’ambiente, essendo le industrie di carne tra le maggiori cause inquinanti del nostro pianeta. Non mi metterò in questa sede a fornirvi dati dettagliati al riguardo, ma se vi interessa l’argomento vi consiglio di leggere sull’argomento Ecocidio di Rifkin.

Il secondo motivo riguarda la salute. Molte persone sono negli anni diventate vegetariane/vegane per questioni di salute e tra queste ci sono sicuramente molti sportivi, anche atleti elite.Da poco mi è capitato di vedere il documentario The Game Changers che spiega dettagliatamente – con alla base numerose ricerche scientifiche -  i benefici di una planted-based diet per atleti di alto livello. I fatti sono chiari: si può benissimo fare sport essendo vegani. Non solo sembra che si possa fare, ma addirittura che si possa trarre grandi benefici e migliorare la performace atletica.

Nel trail running il primo a parlare di corsa e dieta vegana è stato Scott Jurek, che ha sperimentato sulla sua pelle come questa nuova dieta faceva migliorare vertiginosamente le sue prestazioni. Scott Jurek ha preso sul serio l’argomento e ne parla – integrando con interessanti ricette – nel suo libro Eat and Run (anche questo che vi consiglio di leggere). E si può dire che i suoi risultati gli hanno dato ragione.

Probabilmente chi legge quest’articolo non ha bisogno di essere “convinto” a mangiare prodotti di origine vegetale, probabilmente lo fa già, ma quello che mi preme di dire è che grazie a questo tipo di alimentazione si può provare veramente a spingere al limite il proprio corpo, e scoprire quanto siamo in grado di migliorare le nostre prestazioni se si cambiano abitudini alimentari. Io, nel mio, non so misurare quanto sono migliorata nella corsa, ma mi ricordo bene quando ho corso la mia prima 50k ed a metà corsa ho mangiato un panino con la luganega. Non è stato bello quello che è successo dopo. 

Una cosa che invece mi piacerebbe dire ai corridori che leggono quest’articolo –  e che spesso sono ossessionati dall’alimentazione in gara – è che la performance non si costruisce solamente con l’allenamento, ma anche con quello che si mangia giorno dopo giorno. In fondo, siamo quello che mangiamo.

Inoltre se vi stuzzica l’idea potete scoprire che ci sono alimenti a base vegetale che sono nettamente più proteici di quelli di origine animale, e decisamente più sani. Give them a try.Come dicevo, io non so quanto sono migliorata effettivamente e non posso portarvi dati e statistiche, ma posso dirvi che nelle mie attività outdoor – anche grazie a questa scelta -  mi sento più connessa con l’ambiente in cui sono.

Vi lascio con una citazione di Coach Grazielli che ci sta sempre bene: Eat weel, not too much, mostly plants.

evatoschi

Davide Grazielli

Ringrazio Eva per la citazione, che a mia volta ho rubato a Bill Rodgers. Ma riassume in pieno la mia visione dell’alimentazione legata allo sport di endurance, ed in generale alla vita quotidiana.

Il mio interesse verso una dieta plant based arriva in maniera poco scientifica, ma molto diretta, da canzoni come “No More” degli Youth of Today o “Cats and Dogs” dei Gorilla Biscuits.
Già, era la fine degli anni ottanta ed un manipolo di ragazzi americani strillavano nel microfono come si potesse vivere anche senza carne e prodotti di derivazione animale. Incuriosito cominciai ad informarmi: sono passati quasi trent’anni, ma non ho ancora trovato tra pubblicazioni scientifiche o ricerche mediche nessun motivo per ricredermi. Quando mi sono avvicinato agli sport di endurance, mi ha sorpreso trovare molti atleti di alto livello gareggiare ed allenarsi basandosi su una dieta vegana, vegetariana o comunque povera di carne e derivati animali, specie oltreoceano. I pregiudizi e l’ottusità che spesso ho trovato in atleti di altre discipline, lascia spazio alla voglia di sperimentare e vivere in maniera armonica con l’ambiente che ci circonda.

Ci sono mille ottimi motivi per eliminare o ridurre il consumo di carne e proteine animali: sociali, etici, economici, salutistici. Ma da coach ed atleta, il principale è che questo è quello che mi chiede il mio corpo: anni di pratica mi hanno dimostrato che non solo è possibile sostenere una dieta “plant based” anche correndo, ma è anche un ottimo modo per mettere il sistema corpo in condizione di rispondere agli stimoli che ci arrivano da allenamento, impegni quotidiani e lavorativi nel miglior modo possibile. Specie se facciamo attenzione alla qualità dei prodotti che portiamo in tavola.

Davide Grazielli

Francesco “Paco” Gentilucci

Il vegetarianesimo/veganesimo per me non è mai stato un problema, semmai lo è sempre stato per gli altri. Se dovessi dire quale è la parte peggiore della scelta veg è il fatto di doversi sorbire le rotture di scatole, le battute idiote e le inutili conversazioni di chi non condivide questa scelta. Sono più di 15 anni che ascolto le stesse, solite cazzate da parte di chi mi dice che è impossibile fare sport con una dieta plant-based. Solitamente chi dice questo ha svariati problemi dovuti alla propria alimentazione, è in sovrappeso o è semplicemente ignorante.

Che se ne dica, l’etica può essere soggettiva, ma la sostenibilità ambientale di una scelta di consumo piuttosto di un’altra non lo è. Non ho mai avuto rimpianti a riguardo, allo stesso modo in cui non ho rimpianti nel fare la raccolta differenziata o non inquinare a caso se posso evitarlo.La mia scelta risale a tantissimi anni fa, ed è stata per un semplicissimo motivo etico: volevo tirarmi fuori o entrarci il meno possibile con l’industria basata sullo sfruttamento animale, che fosse il consumo di carne piuttosto che i circhi o gli zoo. Avevo credo 16 anni e molti anni fa era veramente molto poco comune questa cosa, soprattutto in un paese di provincia, ma le cose ora sono molto cambiate, e per avere un’alimentazione più sostenibile adesso basta volerlo: si trovano facilmente informazioni e tutto ciò che possiamo desiderare nel mercato.

Il fatto di correre o fare sport di endurance e un’alimentazione basata sulle piante è una cosa conciliabile, e anzi, anche consigliabile non credo sia una novità; le conoscenze e gli studi a riguardo hanno già confermato da tempo questa, quindi trovo affatto inutile sciocco continuare a porre questioni a riguardo. Anche i ciclisti di una volta pensavano che fumare una sigaretta prima di un allenamento facesse bene, ma quando hanno capito che non era così hanno smesso di farlo, seppure le aziende del tabacco continuavano a provare a vendere questa immagine come romantica e veritiera. Sia chiaro, io non voglio convincere nessuno, ma solo parlare della mia esperienza. Ai tempi non c’era il libro di Jureck, né quello di Foer. Forse c’era quello di Singer, ma che comunque non avevo letto. Semplicemente mi recai nell’allevamento più vicino (era un allevamento di polli da carne) e vidi coi miei occhi cosa significava trasformare un essere vivente senziente in un cadavere da mangiare dentro un piatto. Mi dissi se era necessario e se volevo farne parte. Smisi di mangiare carne e sopravvissi senza alcun problema. Evidentemente non era necessario provocare tutta quella sofferenza ad altri animali. Non volevo più farlo e non sono più tornato indietro.

Paco

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